Nel corso degli anni l’abitazione è divenuta oggetto di svariate normative che hanno portato, tra le altre cose, anche ad un incremento delle imposte gravanti su di essa, sia nel caso si tratti di casa principale di un nucleo familiare e sia nel caso si tratti di una seconda o addirittura una terza abitazione.

In quest’ultimo caso, un’imposizione fiscale particolare è stata diretta soprattutto verso quelle strutture abitative destinate alla locazione verso terzi.

In tali casi, i titolari dei contratti di locazione devono prestare molta attenzione al pagamento della giusta quota delle imposte dovute, come ad esempio l’Irpef sugli affitti.

Al tempo stesso, i proprietari di case, come vedremo meglio in seguito, possono scegliere di usufruire del regime della cosiddetta cedolare secca.

In tal caso è indispensabile conoscere bene le modalità di pagamento della stessa e le sue relative scadenze.  Partendo proprio da quest’ultimo regime, andiamo a conoscere meglio alcune delle più importanti imposte gravanti sulle abitazioni in locazione.

La cedolare secca sugli affitti è in vigore dal 2011 ma nel corso di questi ultimi anni ha prodotto un interesse crescente fra i proprietari di immobili destinati all’affitto per uso abitativo.

Nel 2018 il regime a cedolare secca è stato esteso a quei locali destinati ad affitti per uso commerciale.

Vediamo con più chiarezza di cosa si tratta: la cedolare secca rappresenta un regime di tassazione facoltativo sulle locazioni che prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva sia dell’IRPEF che delle addizionali, e che toglie alle parti l’obbligo di pagare le imposte di bollo e di registro, per le registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di affitto; quelle dovute nel caso di cessione del contratto rappresentano un’eccezione.

Questa imposta sostitutiva prevede il pagamento di un’aliquota al 21% del canone di locazione annuo sottoscritto tra le parti, che in particolari situazioni potrà scendere al 10%, così come è stato previsto inizialmente per il quadriennio 2014-2017 e poi successivamente prorogato anche per gli anni 2018 e 2019.

Rientrano in tali situazioni particolari i contratti di locazione a canone concordato (3+2 anni) stipulati in Comuni ad alta densità abitativa o con carenze di strutture abitative (come Roma, Milano e Napoli ad esempio) o colpiti da calamità naturali e quindi posti in stato d’emergenza.

Grazie allo stop dell’aumento dei tributi locali, per il 2018 ed il 2019 si possono ancora prendere in considerazione le delibere del 2015 al fine di poter calcolare lo sconto minimo di quest’anno.

Gli incentivi maggiori riguardano proprio i redditi di locazione, con la cedolare secca al 10%, che resterà invariata fino al 2019, come già accennato.

Per quali immobili vale la cedolare secca

In base a quanto si legge sul sito dell’Agenzia dell’Entrate l’opzione può essere esercitata per “unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10 – uffici o studi privati) locate a uso abitativo e per le relative pertinenze, locate congiuntamente all’abitazione, oppure con contratto separato e successivo rispetto a quello relativo all’immobile abitativo”.

Il tutto però a condizione che il rapporto di locazione intercorra “tra le medesime parti contrattuali, nel contratto di locazione della pertinenza si faccia riferimento a quello di locazione dell’immobile abitativo e sia evidenziata la sussistenza del vincolo pertinenziale con l’unità abitativa già locata”.

In caso di contitolarità dell’immobile la cedolare secca al 10% deve essere esercitata distintamente da ciascun locatore. I locatori contitolari che non esercitano l’opzione, sono tenuti al versamento dell’imposta di registro, calcolata sulla parte del canone di locazione imputabile, in base alle quote di possesso.

Se con la Legge di Bilancio del 2018 si è effettuata la proroga dell’aliquota al 10% della cedolare secca per il biennio 2018-19, con la medesima legge successiva del 2019 si è assistito, come abbiamo già accennato, all’ampliamento dell’applicazione di tale regime particolare anche alle locazioni di tipo commerciale.

Infatti, precedentemente, l’adesione era consentita soltanto per gli affitti di strutture prettamente abitative. Naturalmente anche in questo caso vanno rispettati determinati requisiti.

Vediamoli questi requisiti nel dettaglio: per poter aderire alla cedolare secca con aliquota al 21% si devono affittare locali commerciali che rientrino nella categoria catastale C/1 e relative pertinenze (locate contestualmente, nel caso) e che non superino comunque i 600 mq di ampiezza (escludendo dal calcolo le pertinenze eventuali).

Non potranno usufruire di tale regime quei contratti sottoscritti nel 2019 qualora fino al 15 Ottobre 2018 esistesse un altro contratto non scaduto, stipulato dalle medesime parti e riguardante lo stesso immobile, e che fosse stato interrotto in anticipo rispetto alla sua scadenza naturale prestabilita.

Inoltre, si potrà usufruire della cedolare secca anche nel caso si affittassero degli immobili residenziali a cooperative edilizie ed enti non lucrativi, purché questi a loro volta sublocassero a Comuni oppure a studenti universitari e rinunciassero poi comunque a canoni di locazione o di assegnazione.

Per quanto riguarda l’adesione a tale regime particolare, è possibile ottenere maggiori informazioni collegandosi all’apposita pagina internet dell’Agenzia delle Entrate.

Imu e Tasi: il blocco sugli aumenti

Tra le imposte relative alle abitazioni, principali e non, particolare importanza rivestono Imu e Tasi.

Ricordiamo che la prima grava soprattutto sulle seconde case, mentre la Tasi è una tassa comunale generica inerente i servizi offerti dalle singole realtà locali e che va invece a gravare su chi possieda o detenga, ed a qualsiasi titolo, delle unità immobiliari.

Mentre l’Imu resta a carico del proprietario, per il pagamento della Tasi è previsto il contributo degli inquilini in affitto.

Anche per il 2018 ha trovato applicazione il decreto che prevede lo stop dell’aumento delle imposte e delle tasse negli enti locali.

Tale blocco è stato sancito al comma 37 dell’articolo 1 nella legge di Bilancio 2018. Quindi, le amministrazioni locali vedono sancito il divieto di aumentare le aliquote e le tariffe rispetto a quelle che furono deliberate nel 2015, nel 2016 e nel 2017.

Alla stessa maniera non si potranno istituire dei nuovi tributi, ad eccezione dell’imposta di soggiorno che ha già goduto di una deroga sia per quanto riguarda l’istituzione che per quanto concerne la rimodulazione. Inoltre non potranno essere ridotte le agevolazioni che sono già state concesse ai contribuenti.

Da questo blocco sono però escluse tutte le entrate di natura patrimoniale, come ad esempio: il canone occupazione di spazi e aree pubbliche ed il canone idrico. Il vincolo non ha invece nulla a che vedere con gli enti che hanno deliberato il dissesto oppure il predissesto.

Sempre quest’anno, inoltre, tale blocco degli aumenti non troverà applicazione nei Comuni che sono stati istituiti a seguito della loro fusione. La legge di Bilancio del 2018 ha inoltre confermato la maggiorazione Tasi di 0,8 per mille, se già confermata negli anni 2016 e 2017.

La maggiorazione non riguarda, ovviamente, le abitazioni principali, già esenti ai fini Tasi. Se un Comune l’ha deliberata nel 2015 per gli immobili ad uso abitazione principale, tale maggiorazione non può essere mantenuta.

Rate Imu

La scadenza della prima rata Imu è prevista per Giugno: l’acconto (50%) si deve pagare solitamente entro il 16 o 17 Giugno dell’anno in corso, a seconda che la prima data indicata cada o meno in un giorno festivo, come successo ad esempio nel 2019.

La seconda rata, invece, deve essere versata per saldare l’imposta complessivamente dovuta per l’anno con un conguaglio sulla prima rata, il tutto, indicativamente, entro gli stessi giorni del mese di Dicembre.

Specificatamente, il pagamento della prima rata, se versato entro la scadenza è senza l’applicazione di sanzioni od interessi e in misura pari al 50% del totale ottenuto attraverso l’applicazione delle aliquote di base e la detrazione prevista; la seconda rata viene versata a saldo dell’imposta totale dovuta per tutto l’anno, come già detto, con il conguaglio sulla prima rata.

Novità a partire dal 2019

Proprio nel 2019 e specificatamente con il cosiddetto “Decreto Crescita” varato dal governo, sono state introdotte alcune novità per quanto riguarda Imu e Tasi.

Per ciò che concerne la prima, il termine ultimo per presentare la dichiarazione Imu slitta dal 30 Giugno che è il termine attuale al 31 Dicembre dell’anno dopo a quello dei dati da dichiarare.

Inoltre, non vige più l’obbligo della presentazione della dichiarazione Imu per le case locate a canone concordato (ricordiamo che queste beneficiano comunque già della riduzione statale del 25% su Imu e Tasi).

Dalla cedolare secca all’Imu, dagli affitti brevi alle case in comodato, il decreto crescita interviene su diversi punti del fisco immobiliare.

Vediamo le principali novità introdotte nel corso della conversione (il Dl 34/2019 approvato con la fiducia dal Senato giovedì 27 giugno).

Conferma della cedolare secca
Addio alle sanzioni per chi si dimentica di confermare l’opzione per la cedolare secca sugli affitti al momento della proroga del contratto (ad esempio, quando inizia il secondo quadriennio in un contratto di locazione “4+4”).

Il decreto crescita nella rubrica dell’articolo 3-bis parla di «Soppressione dell’obbligo di comunicazione della proroga del regime della cedolare secca». In realtà, viene solo cancellata la norma che prevede le sanzioni (100 euro ridotti a 50 entro i primi 30 giorni).

È chiaro, però, che a questo punto la mancata presentazione del modello Rli per confermare la cedolare non comporterà più la decadenza dal regime (già eliminata per legge dal 2016), né la multa. Si ritiene che l’eliminazione valga anche per il passato, in virtù del favor rei.

Il codice per gli affitti brevi
Prevista la creazione di una banca dati pubblica delle strutture ricettive e degli immobili destinati all’attività di locazione breve. 

Alcune Regioni come la Lombardia e la Sardegna, lo hanno già fatto. Ma l’obbligo è generalmente contestato dai proprietari.

I dettagli applicativi sono affidati a un decreto ministeriale da adottare entro 30 giorni dalla conversione.

Comunque ogni struttura o casa locata dovrà avere un codice identificativo e dovrà usarlo «in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza». Lo stesso codice dovrà essere usato anche dai gestori di portali internet e dagli agenti immobiliari. Per chi non si adegua, sanzioni da 500 a 5mila euro, maggiorate del doppio in caso di reiterazione.

Imposte e morosità degli affitti
Viene ritoccata anche la norma (articolo 26 del Tuir) secondo cui i redditi fondiari sono tassati in base alla “maturazione” e non alla “effettiva percezione”.

È la disposizione in virtù della quale i possessori di immobili locati pagano anche sul canone non incassato, finché non viene risolto il contratto. Per gli affitti abitativi, si può “smettere” di pagare le tasse solo da quando si conclude il procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto per morosità del conduttore.

L’unica consolazione è che il locatore matura un credito d’imposta in relazione alle tasse pagate su canoni che il giudice accerta non essere stati incassati. Ma occorre aspettare l’iter giudiziario, per l’appunto.

Questa regola continua a valere per tutti i contratti stipulati quest’anno. Per quelli siglati dal 1° gennaio 2020, invece, il decreto crescita prevede la possibilità di non versare le imposte sui canoni la cui mancata percezione sia «comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento».

Al Fisco i dati sugli inquilini
Sempre per gli affitti brevi, viene previsto – anche qui con norma ancora da attuare – che i dati comunicati dai locatori alla Polizia di Stato saranno forniti all’agenzia delle Entrate dal ministero dell’Interno (in forma anonima e aggregata per struttura ricettiva).

Il Fisco potrà usarli per controllare il pagamento delle imposte.

E li comunicherà ai Comuni che potranno verificare il versamento dell’imposta di soggiorno.
Ancora in tema di affitti brevi, scatta la responsabilità in solido per la ritenuta fiscale sugli affitti brevi da parte dei soggetti residenti in Italia, che facciano parte di uno stesso gruppo e per il quale non sia stato nominato il rappresentante fiscale in Italia.

È una norma che si inserisce nella querelle con alcuni portali internazionali, compreso Airbnb, che attualmente non applicano la ritenuta prevista dalla manovra di primavera di due anni fa (Dl 50/2017).

Dichiarazione Imu
Il termine per presentare la dichiarazione Imu slitta al 31 dicembre dell’anno successivo a quello cui si riferiscono i dati da comunicare.

Attualmente, il termine è invece il 30 giugno.

Inoltre, viene eliminato l’obbligo di presentare la dichiarazione Imu per chi vuole (e può) beneficiare della riduzione del 50% Imu e Tasi sulle case date in comodato, cioè in prestito gratuito, ai figli o ai genitori. D’altra parte, in questi casi il comodato va registrato alle Entrate.

Contratti a canone concordato: dichiarazione e «bollino»
Il decreto crescita prevede anche l’eliminazione dell’obbligo della dichiarazione Imu per le case affittate a canone concordato (che beneficiano di uno sconto statale del 25% su Imu e Tasi e, in molte città, hanno aliquote comunale ridotte). Per questi contratti, però, istruzioni ministeriali alla mano, la dichiarazione non è obbligatoria già oggi. Più interessante l’eliminazione di «qualsiasi altro onere di dichiarazione o comunicazione», perché per questi contratti spesso i Comuni pretendono comunicazioni di vario genere. Resta invece l’obbligo di “bollinatura” (attestazione) per i contratti a canone concordato stipulati con il fai-da-te, senza l’assistenza delle associazioni di categoria.

Contratti a canone concordato: la proroga del «+2»
Sempre per i contratti agevolati, una norma interpretativa chiarisce cosa succede se il contratto prosegue dopo il “3+2” (punto spesso oggetto di interpretazioni divergenti): il decreto prevede che, in assenza di disdetta, il contratto viene «rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio». Lo schema è quindi “3+2+2…” e così via.

Imu sui fabbricati delle imprese
L’Imu sugli immobili strumentali, come i capannoni, diventa deducibile dal reddito d’impresa (la Tasi lo è già). Ma solo dal 2023. Prima di allora, la percentuale di deduzione ammessa crescerà gradualmente:
– 50% per l’Imu versata quest’anno (tecnicamente, il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018);
– 60% nel 2020 e 2021;
– 70% nel 2022;
– 100% dal 2023.

Tasi sui «beni merce»
È prevista l’esenzione dalla Tasi, ma solo a partire dal 2022, per i beni merce dei costruttori. Si trtta dei fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, «finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati».