La clausola risolutiva espressa rappresenta una condizione contrattuale attraverso la quale due parti prendono atto che il contratto che si sta stipulando può essere immediatamente rescisso nel momento in cui si verificano degli avvenimenti che comportano un inadempimento di qualsiasi entità, cioè sia grave che di minore importanza.

Quindi, se il creditore decide di avvalersi di questa clausola, la risoluzione del contratto avverrà in maniera immediata, senza che si debba ricorrere in giudizio.

Ovviamente, come accade anche nel caso della risoluzione giudiziale, anche per la risoluzione attraverso la clausola risolutiva espressa servono i requisiti della colpa e della gravità che ha l’inadempimento.

Clausola vessatoria oppure no?

Secondo molti, la clausola risolutiva espressa non sarebbe da considerare come una clausola vessatoria, mentre per molti altri ancora, questa clausola è indispensabile per allargare le possibilità di diritto di recesso nei confronti del contraente in quanto consente al creditore la facoltà di sciogliere il contratto, alcuni altri la ritengono una clausola che contribuisce a limitare le responsabilità, perché aumentando le responsabilità del secondo contraente, quelle del primo, ovviamente, diminuiscono.

Secondo il “Codice del Consumo” che si è occupato della vessatorietà o meno, di questa condizione contrattuale, bisogna valutare il contratto nella sua integrità mettendo a confronto tutti gli equilibri contrattuali che riguardano imprenditore e consumatore.

Infatti, si può definire vessatoria una clausola che pone condizioni che risultino molto svantaggiose per il consumatore, come può essere ad esempio una tempistica ristretta per presentare richiesta di risoluzione o, anche, delle piccole inadempienze.

Per quanto concerne i contratti del consumatore, ed in maniera particolare per quanto riguarda il problema dell’abusività di questa clausola, c’è un’interpretazione secondo la quale la definizione di clausola abusiva, o meno, si basa sulla valutazione completa del contratto e del contesto in cui, essa, è inserita.

Infatti, la clausola risulterà inefficace essa stessa porta ad un equilibrio contrattuale alterato provocando la risoluzione del contratto anche in caso di adempienze davvero minime da parte del consumatore mentre invece, per professionista, è disponibile una grande libertà di posticipare l’esecuzione di tale prestazione.

Clausola risolutiva espressa e contratti di affitto

Molto spesso, nella stipula di un contratto di locazione, è facile che il locatore inserisca la clausola risolutiva espressa nell’eventualità in cui l’affittuario non disponga il pagamento del canone pattuito per l’affitto nei tempi stabiliti dalla scadenza.

Con la presenza della clausola, non sarà necessario che l’autorità giudiziaria preposta provveda a fare una valutazione sulla gravità che riguarda l’inadempimento, ma, dovrà bensì effettuare i controlli sulla riferibilità al conduttore.

In sostanza, la Corte di Cassazione attraverso la sentenza numero 1316 del 9 febbraio 1998 ha deciso che nel caso delle locazioni che sono regolate dalla legge numero 392/1978, la suddetta clausola risolutiva espressa, inclusa nel contratto di affitto, per il mancato versamento del canone al termine della scadenza, non è da ritenersi nulla, ma bensì, essa rimane solo quiescente, perché, in base alla legge 392/1978 al conduttore è consentito di saldare il ritardo del pagamento in giudizio; quindi nel caso in cui il locatore proponesse una causa di risoluzione del contratto per motivi compatibili con la morosità, la clausola si può considerare completamente efficace.

Ulteriori nozioni sugli inadempimenti

La clausola espressa, deve naturalmente essere inserita nel contratto originale e assumere la stessa forma. Le due parti contraenti, devono indicare in modo specifico a quali comportamenti si riferisce la risoluzione; infatti non si può basarsi solo su un’indicazione di tipo generico che si riconnette ad un qualsiasi inadempimento, anche di entità veramente minima, pretendendo che il contratto si risolva per un nonnulla.

Il creditore ha la possibilità di rinunciare di avvalersi della clausola risolutiva e può effettuare la suddetta rinuncia sia in modo espresso che in maniera tacita.

Nonostante ciò se dopo gli atti inadempienti del debitore, il creditore tollera il ritardo o la volontà di non avvalersi della clausola, ciò non significa che non potrà farne un utilizzo tardivo.

Infine, non si può adoperare la clausola risolutiva espressa nel caso in cui, secondo la legge, ci sono dei parametri gravi a cui è subordinata la risoluzione. Per esempio, le due parti non possono stabilire, in una vendita a rate, che il creditore chieda la risoluzione nonostante l’inadempimento sia inferiore ad un ottavo del prezzo stabilito.

Differenza fra clausola risolutiva e clausola penale

La clausola risolutiva espressa, quindi dà al creditore il diritto di avere la risoluzione del contratto quando, il debitore, non ha adempiuto ad una o anche a più prestazioni contrattuali che erano state inserite nella clausola, indipendentemente dalla gravità che ha l’inadempimento.

La clausola penale, di cui all’articolo 1381 del Codice Civile, differentemente, prevede una sanzione per il debitore inadempiente e impone di rispettare gli accordi del contratto e, infine, risarcisce il creditore evitando che egli debba provare il danno.