Per coloro che posseggono due o più case, un’importante fonte di reddito potrebbe derivare dall’affitto di una di queste.
Difatti, per alcune persone, la locazione rappresenta l’unica o la principale entrata finanziaria annuale a loro disposizione.
Tuttavia, come per qualsiasi altro genere di reddito, ciascun cittadino deve pagarne le relative imposte, al fine di evitare problematiche di varia natura, tra cui anche penale.
Da questo punto di vista, tanta attenzione deve comunque porsi in diversi passaggi quando si affitta un’abitazione: dai tempi e modalità della comunicazione alla controparte in caso di disdetta del contratto di locazione fino all’avviso relativo all’adesione del proprietario al regime della cedolare secca.
Comunque, un locatore deve prestare particolare importanza, come dicevamo, al pagamento della giusta quota di imposte sul canone percepito periodicamente.
Comunque, facciamo una breve sintesi delle due opzioni a disposizione di un locatore per la tassazione di un canone di affitto.
In quella ordinaria, tutti i redditi derivanti dagli affitti vengono sommati agli altri eventualmente percepiti da un soggetto ed inseriti tutti nella dichiarazione dei redditi (modello 730 oppure Unico).
Al totale complessivo di tali redditi si applicherà l’aliquota Irpef e le relative addizionali, sia comunali che regionali.
Come vedremo successivamente, l’aliquota Irpef sarà variabile in base al livello complessivo di reddito percepito da un soggetto.
Maggiore sarà tale reddito e più alta sarà l’aliquota da pagare e quindi le imposte da versare. Naturalmente, quel contribuente che percepisce sia un reddito da lavoro dipendente o autonomo che un reddito derivante da una locazione andrà a pagare più tasse rispetto a colui che percepisce soltanto un’entrata dal canone d’affitto di un immobile.
Un’alternativa alla tassazione ordinaria è quella dell’adesione al regime della cedolare secca. In pratica, un contribuente paga un’unica tassa e che va a sostituire Irpef, addizionali comunali e regionali, imposte di registro e di bollo. Quest’unica tassazione si calcola sul totale complessivo dei canoni d’affitto percepiti. Così facendo, questi ultimi non vanno a sommarsi agli altri redditi dichiarati dal contribuente e quindi a incidere sulla base imponibile Irpef.
E questo determina anche la convenienza di tale sistema, rispetto a quello ordinario, per quelle persone che percepiscono altri redditi (elevati), oltre a quello derivante dal canone d’affitto. Comunque, questo è in estrema sintesi il sistema di tassazione per coloro che concedono in locazione un immobile.
Oggi concentriamo la nostra attenzione sulla tassazione ordinaria: come funziona il pagamento dell’Irpef sugli affitti? Quali aliquote vengono applicate e come calcolare l’imposta?
Irpef affitti: come funziona
L’Irpef è l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Si tratta di un’imposta diretta, risultante dalla somma dei redditi percepiti da un soggetto, quali, ad esempio, redditi da lavoro autonomo e redditi fondiari derivanti appunto dall’affitto di immobili.
L’Irpef è un’imposta progressiva ad aliquote crescenti. Ciò vuol dire che il reddito complessivo percepito dal soggetto viene suddiviso in scaglioni e a ciascuno viene applicata una diversa aliquota. Le aliquote Irpef sono pari a:
- 23% per il 1° scaglione: da 0 a 15.000 euro
- 27% per il 2° scaglione: da 15.001 a 28.000 euro
- 38% per il 3° scaglione: da 28.001 a 55.000 euro
- 41% per il 4° scaglione: da 55.001 a 75.000 euro
- 43% per il 5° scaglione: oltre 75.000 euro
È importante precisare che dal secondo scaglione viene tassata con aliquote successive solo la parte eccedente di reddito. Ad esempio se un soggetto ha percepito un reddito di 30.000 euro l’imposta sarà calcolata in questo modo:
- 23% su 15.000 euro
- 27% su 13.000 euro
- 38% su 2.000 euro
I redditi derivanti dagli affitti di abitazioni sono redditi fondiari che concorrono a determinare il reddito imponibile ai fini Irpef. Vediamo come.
Irpef affitti: come si calcola il reddito imponibile
Il reddito fondiario a fini Irpef va calcolato considerando il maggiore importo tra:
- rendita catastale rivalutata del 5%
- canone di locazione annuo scontato del 5%
Ci sono alcuni casi particolari da considerare:
- per gli immobili di interesse storico o artistico va considerato il 50% della rendita catastale rivalutata, mentre il canone annuo di locazione va scontato del 35%
- per i fabbricati situati nella città di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, Murano e Burano il canone annuo viene scontato del 25%
È prevista un’ulteriore deduzione del canone annuo pari al 30% per i contratti di locazione a canone concordato relativi a immobili situati in comuni ad alta densità abitativa. Quindi in questi casi il canone da considerare ai fini Irpef sarà pari al 65%, 35% nel caso degli immobili di interesse storico o artistico.
Come si paga l’Irpef affitti
l pagamento dell’Irpef sui canoni di locazione percepiti avverrà in sede di dichiarazione dei redditi. I redditi derivanti dalla locazione abitazioni vanno indicati nel quadro B del 730 o nel quadro RB del modello Unico.
Attenzione: i canoni di locazione non percepiti per morosità dell’inquilino concorrono comunque a determinare l’imponibile Irpef e vanno dichiarati. Solo in caso di procedimento concluso di convalida di sfratto è possibile evitare di dichiarare tali canoni, ma va comunque dichiarata la rendita catastale dell’immobile.
In altre parole, un locatore che non percepisce il canone d’affitto a causa della morosità del conduttore è tenuto comunque a pagare l’Irpef su questo reddito (infatti, sia pur non percepito effettivamente, va tuttavia dichiarato), fino a quando non ha avuto termine il procedimento giurisdizionale della convalida di sfratto dell’inquilino moroso.
Una volta terminato tale procedimento, allora il locatore, come accennato, non dovrà più dichiarare il canone d’affitto, bensì unicamente la rendita catastale dell’immobile.
Per quanto riguarda invece gli affitti non percepiti in precedenza, ma già sottoposti a tassazione ordinaria (e quindi tassati appunto), è prevista invece l’attribuzione di un credito d’imposta equivalente all’imposta già pagata.
Tuttavia, un’importante novità a questo proposito è connessa all’approvazione del Decreto Legge n°34/2019 (cosiddetto Decreto Crescita, all’articolo 3-quinquies). In pratica, a partire dai contratti di locazione stipulati dal 1° Gennaio 2020, eventuali affitti non percepiti dal locatore potranno evitare la tassazione ordinaria dal momento in cui avviene l’intimazione dello sfratto per morosità del conduttore oppure dall’ingiunzione di pagamento e senza aspettare invece, come avviene tuttora, la conclusione del procedimento di convalida di sfratto.
In questo modo, lo stesso locatore potrà anticipare il momento dal quale potrà evitare di essere sottoposto a tassazione ordinaria nonostante non percepisca il canone d’affitto concordato.
È bene sottolineare che tale nuovo regime sarà valido con i contratti di locazione stipulati dal Gennaio 2020 in poi, mentre quelli antecedenti resteranno sotto la normativa attualmente in vigore e quindi, come detto, i locatori dovranno continuare ad attendere la conclusione della procedura di sfratto per scongiurare la tassazione ordinaria degli affitti non percepiti.